Nell’ambito della rassegna DonneTeatroDiritti di Pacta dei Teatri, e di PACTAsoundZONE vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Arianna Relocked, digital contrafactum sul Lamento di Arianna di C.Monteverdi, ideato e realizzato da Canone Inverso
L’esperienza di fruizione di questo evento è simile a quella dell’astronauta Bowman nel capitolo oltre l’infinito di 2001 Odissea nello spazio, la musica regala un orizzonte visivo, cromatico che va al di là del dato percettivo. È insieme uno stimolante somatico e psichico, la sua presente impalpabilità la rende quanto di più prossimo all’ineffabile sostanza dell’anima. Il viaggio si apre con una sorta di soggettiva, che penetra lo spazio, entra nel teatro, restituisce quella terza dimensione che nell’immagine è prospettiva, una serie di linee in grado di evocarla. Penetra lo spazio con celerità, ha urgenza di traguardare nella sala per incontrare gli interpreti, che rappresentano il contraltare statico al dinamismo della videocamera che li ha preceduti. Poi ciò che si muove con la musica è decisamente l’immaginazione, lo spazio ed il tempo diventano disin-Kant-ati, si liberano della cattività delle forme date, e si piegano, liberi, in geometrie non euclidee.
Mentre la tastiera comincia ad eruttare suoni magmatici, un flusso ininterrotto di una coscienza elettronica che scioglie i nodi della punteggiatura, per rendere appieno quel continuum joyciano di note. Si ha l’impressione di sentire il moog di Schulze con i pesi sulla tastiera per riprodurre il suono continuo, che dà immediatamente la sensazione di un’atmosfera cosmica, di ascoltare il rumore di fondo dell’universo. Si assiste al volo ed alla collisione di un’altra cometa Comas Sola, il cui suono riecheggia come quello dell’omonimo pezzo dei Tangerine dream. È un divenire eracliteo, un fiume sonoro nel quale è impossibile bagnarsi due volte, visto che la coscienza ed il suono si muovono alla stessa velocità nello scorrere degli istanti. Questa esperienza per lo spettatore si candida ad essere psichedelica nel senso etimologico del termine, la psiche e le luci si uniscono in una danza sinuosa.
Questo movimento è qualcosa di molto prossimo allo scivolare, allo scorrere attraverso quel lubrificante sensoriale che è il suono. E per fuggire alla forzata solitudine, al luogo in cui è costretta, questa Arianna Relocked ritrova il suo Lamento monteverdiano, e lo colora con le geometrie metafisiche di de Chirico, dove ineffabili oggetti, totem di archetipi e di struggente solitudine, si stagliano nel recinto spaziale di una piazza. Questa partitura di cui ci rimane solo un’aria, si presta come non mai a diventare una tela di Penelope da fare e disfare eternamente, sull’orizzonte di libertà di un pentagramma assente, di una teologia negativa, che ci restituisce, per citare la definizione aforistica sublime e sintetica della musica, presente nel film Tutte le mattine del mondo, il pianto di un bambino mai nato, anzi quello di una fanciulla abbandonata. Arianna ha l’anima leggera.
Le note della sua tragedia musicale sono nell’infinito potenziale di un tacet, di un dove che è lì dentro a qualunque musicista o cantante che abbia la voglia di scoprirle. La voce di Paola Bianchi ha un paio d’ali sonore, e si libra al di là di qualunque lockdown, ha come patria tutte le sfere celesti di aristotelica memoria. Sublima il dolore della donna del mito con un canto cardiaco ed insieme eterico. Laura Faoro affida al suo flauto il compito di fondere nei soffiati, di questa recitazione musicale, i coturni dell’antica tragedia con la levità di una piuma che, instancabile, racconta la struggente voglia di libertà all’aria, e di ingannare la forza di gravità. Mario Mariotti duetta con la sua tromba con il flauto e si lascia meticciare da quelle sonorità, da quel timbro argentino, vola radente sul fiume musicale.
È pronto a cogliere il luccichio argentato di un pesce sonoro. Silvia Cignoli incanta con la sua chitarra, ed è dolce naufragare in questa interstellar overdrive dove le dita siydbarreggiano tra le corde, e, come gli Uccelli di Battiato, cambiano le prospettive al mondo. Elia Moretti con le sue percussioni dona un vestito cardiaco a questo spettacolo. Carlo Centemeri sulla tastiera trova il suo infinito elettronico da attraversare, e nelle sue note c’è la fioritura di un paesaggio cangiante, proteiforme, che sfugge alla prigionia della determinazione. Si assiste alla cognizione del dolore di un abbandono, prima che alle parole si ha la possibilità di attingere alla loro fonte, alla dimensione insieme dell’idea e dell’emozione, non ancora imprigionate nell’equivoco del linguaggio. Viviamo il tormento di Arianna Relocked dal suo interno, dal tabernacolo del suo sentire, da come risuona nei suoi atri, nei suoi ventricoli.
La musica è la ricerca di una via di uscita, di un farmaco spirituale, restituisce, istante dopo istante, il movimento di una coscienza femminile che sperimenta the dark side of the moon dell’amore. Davvero l’invisibile ha il carattere dell’essenzialità. Ed il corpo dell’invisibile è quest’anima di note, capace di restituire l’antico deus ex machina. La tragedia montverdiana non può che nascere dallo spirito della musica, quello delineato da Nietzsche, e già si comprende che la donna si prepara alla dimensione dionisiaca, a quel Dioniso in grado di affrancarla da quella sofferenza, di liberare la vibrazione della sua musica interiore. Questa Arianna Relocked si libera nel canto e nel suono interiore che si fa voce strumentale, ed evoca la dimensione dell’assoluto in grado di vivere, nel suono, i lampi di percettibilità.
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