Author

Danilo Caravà - page 9

Danilo Caravà ha 85 articoli pubblicati.

Focus sui mestieri del teatro: lo spettatore

in Rubrica

Eccoci ad un nuovo focus sui mestieri del teatro: lo spettatore. Il titolo di questo articolo potrebbe apparire come una provocazione, un non-senso, un gioco da teatro dell’assurdo, ma in realtà vuole segnalare che spettatori non si nasce, si diventa. Frequentare il teatro sistematicamente ha qualcosa di simile con gli apprendisti che “vanno a bottega”, interessati ad imparare il mestiere sul campo, attraverso la valente guida dell’artigiano.

L’affinità elettiva di goethiana memoria, che unisce idealmente la platea col palcoscenico è il risultato di un paziente lavoro e di una costanza, per certi versi simile a quella geologica, che porta alla formazione delle stalattiti e delle stalagmiti, ovvero al lento ed inesorabile accumulo di carbonato di calcio il quale, in questo caso, prende il nome di capitale di spettacoli visti. Per essere piacevolmente e favorevolmente contagiati dal teatro, da quella che non a caso Artaud definisce peste, bisogna esporsi più volte al contagio, bisogna che la presenza in sala vada a comporre un’ideale nuova versione dell’educazione sentimentale, dove l’oggetto del proprio amore sia il palcoscenico.

I mestieri del teatro: lo spettatore

Certo esiste il coupe de foudre, in grado di riscaldare immediatamente la temperatura emotiva dello spettatore, di renderlo letteralmente febbricitante, di smuovere in lui il pigro trascinarsi dell’abitudine, l’ottundimento della vita psichica, della consapevolezza interiore, ma per far sì che non sia un fuoco di torba, od un episodico terremoto interiore destinato ad affievolirsi nella memoria, è necessario ripetere l’esperienza, tradurre la singola occasione in metodo.

Prendendo a prestito e modificando opportunamente la massima cartesiana, potremmo tranquillamente affermare: “Vado a teatro, dunque sono”. Un atto di civiltà, dunque è quello di varcare la soglia di un teatro, un modo con cui poter arricchire e perfezionare la definizione di cittadino, ed, in un senso più generale, una maniera per poter esplorare e cartografare tutti i territori sconosciuti della definizione umana, che trovano finalmente qui una dicibilità ed una precisa riconoscibilità.

I mestieri del teatro: lo spettatore

In questo focus sui mestieri del teatro, emerge che lo spettatore può rappresentare una sorta di collezionatore di cimeli nel proprio baule teatrale, locandine, riviste di settore, biglietti, programmi di sala, testi teatrali, ed un ideale zibaldone, a metà strada fra quello dei comici dell’arte fatto di lazzi, di formule comiche ricavate e confermate dall’esperimento empirico scenico, e quello di Leopardi dove si insegna a dare un nome anche a quello che fa male all’anima, a quel dolore sordo in cerca di un autore che gli dia cittadinanza, prima sulla pagina drammaturgica e poi nel testo scenico.

Apparentemente si potrebbe credere che sia passivo il ruolo dello spettatore, che sia chiamato ad una funzione burocratico-giuridica di testimone. Eppure, come sempre, la pratica è distante dalla teoria. Perché in realtà c’è qualcosa di vivo, di estremamente dinamico nella sua stessa presenza. Già Aristotele aveva intuito che nel teatro c’è un meccanismo che potremmo definire di igiene sociale, psichica, un modo per pulire l’anima dalle scorie, la catarsi, la purificazione, evocata anche dalla psicoanalisi freudiana.

I mestieri del teatro: lo spettatore

Una volta che lo spettatore si lascia agganciare dallo spettacolo, apre un patto narrativo, ovvero drammatico con ciò che viene rappresentato, vive il proprio atto teatrale, varca la soglia del puro e semplice voyeurismo, e si immedesima, si sostituisce, gioca tutto se stesso nella storia che vede agita e rappresentata sulla scena, proprio al pari di un attore che si rifaccia alle moderne tecniche di recitazione, a Stanislavskij, a Strasberg, a Meisner, ad Uta Hagen. Sfatando l’invalsa consuetudine che vorrebbe il teatro come luogo deputato alla finzione, lo spettatore, che si è fatto i capelli bianchi sulla poltrona delle platee che ha frequentato, sa benissimo che il teatro è il luogo della verità.

Una dimensione dove, per scriverla alla Pessoa, si finge che sia dolore il dolore che si sente veramente, dove, per riprendere il termine con cui gli antichi greci definivano questo concetto, si realizza davvero l’aletheia, ovvero l’assenza della dimenticanza. L’Itaca, la patria ideale dove l’uomo è furiosamente presente a se stesso ed agli altri è il palcoscenico, dove l’essere umano può cercare di esistere un po’ di più, dove si avvicina più del solito a trovare che cosa sia esattamente questa sua umanità, e tutto questo il nostro spettatore lo sa, concedendosi un sorriso sornione, finito lo spettacolo, esaurito l’applauso, poco prima di alzarsi dalla poltrona di velluto.

Se questo articolo vi è piaciuto, vi invitiamo a leggere gli altri approfondimenti presenti tra le nostre rubriche, come quello dedicato alla figura del drammaturgo, un altro ruolo importante per la buona riuscita di uno spettacolo teatrale.

Recensendo Godot: in attesa del futuro

in Speciale

Recensendo Godot, con questo titolo affrontiamo insieme il tema della chiusura dei teatri e di un futuro ancora artistico assai incerto. Perché l’attesa di Vladimiro ed Estragone si è conclusa, Godot è finalmente arrivato, peccato che ad accogliere la sua invisibile presenza non ci sia anima viva, nemmeno i due personaggi beckettiani, entrambi, infatti, hanno deciso di ignorare la didascalia che li vorrebbe immobili.

I teatri, da ottobre, sono nuovamente vuoti e, una volta tanto, non si tratta del “forno” paventato da ogni impresario teatrale, ma di un vuoto necessario, una profilassi sociale che ci tiene lontano da un’agorà, la quale ci faceva compagnia da più di venticinque secoli. Qualcuno potrà dire che è come se fosse tornata la quaresima, quel periodo in cui era interdetto ai teatranti la possibilità di andare in scena, e, per la cronaca, ecco svelata la ragione dell’idiosincrasia dimostrata dalle persone di spettacolo nei confronti del viola, tipico colore dell’addobbo del periodo.

Una sala teatrale vuota - recensendo Godot

Si sono chiuse le porte con la solennità dell”extra omnes” del conclave, e chissà se quella sala abitata tante volte da sentimenti, pensieri, azioni, in grado di stravolgere e creare una zona d’ombra tra il concetto di verità e quello di finzione,  riuscirà a pensarsi ancora esistente, senza gli occhi della platea a certificarlo, forse sarà come il gatto utilizzato nell’esperimento di Schrödinger, intrappolato in una sorta di schizofrenia esistenziale, vivo e morto al tempo stesso. Difficile da comprendere ma molto semplice da percepire. Eppur si muove, e lo scriviamo con piglio galileiano, eppure si ribella all’inerzia forzata, non rinuncia a quella funzione che lo rende vicino all’uomo più della sua stessa giugulare.

Questa forma di meraviglioso umanesimo, questo laboratorio di antropologia, psicologia e di poesia incarnata, non si arrende, non può, è nella sua natura resistere, il carro di Tespi si muove anche dopo essere stato distrutto dal pugno dei Giganti pirandelliani, dai problemi economici, ogni volta rinasce dalle sue ceneri, come una fenice ostinata. Ora c’è davvero una ragione in più per farlo, ora c’è la voglia e la pazzia giusta, c’è il desiderio di vivere, quando si potrà, sul palcoscenico quel caldo brivido di confusione che fa arrossire l’astronauta, come cantano i Pink Floyd.

Alcuni minori impegnati in attività teatrali - recensendo Godot

Così in questa necessaria interruzione, cresce, monta, riprende coscienza di sé quella passione teatrale evocata da Jouvet, quella che si scopre sempre alla fine di un percorso, che ritorna in forma di certezza come la nottola di Minerva, e testimonia che, malgrado tutto, questo mestiere così difficile, che va a cercarsi il pubblico come Diogene l’uomo autentico con la lanterna, che combatte con il gelo e gli spifferi di certi camerini, la bolletta, ed i pugni in tasca, è un’arte meravigliosa, e bastano gli applausi, la presenza calda, emotiva di un pubblico per toccare letteralmente il Nirvana con il corpo.

Certo l’impresa non è facile, e sembra essere un ossimoro, se non un vero e proprio paradosso, di questi tempi: trovare un contatto col pubblico che non implichi la presenza ma solo la dimensione virtuale dello schermo di un computer, di un tablet, di uno smartphone, insomma quella zona che sta a mezza strada, una terra di nessuno, tra il mondo reale ed il mondo iperuranico delle idee. Tuttavia, proprio come ci insegna il mito platonico, il teatro ora deve tornare nella caverna, non può fare altrimenti, e può sfruttare l’occasione, invero preziosissima, di spiegare alle persone ferme davanti al muro multimediale ,costrette a guardare l‘apparenza di un mondo di fronte al mondo, che esistono oggetti e luci cause di quelle apparenze, che esiste un mondo di fuori che ora deve attendere, ma poi potrà essere vissuto con una consapevolezza profonda, e non nella catatonia del banale troppo spesso ormai omologata al quotidiano.

Uno spettacolo in streaming - recensendo Godot

La sfida è quella non solo di tenere vivo e vitale l’appetito nei confronti del teatro, ma anche soprattutto risvegliare quello di chi, anche prima della pandemia, era addormentato; uso questo termine nella convinzione, sposando l’innatismo platonico, che in ogni essere umano ci sia l’acciarino necessario per provocare la scintilla in grado di accendere la passione per questa forma artistica.

Si può sfruttare quel teatro delle ombre a proprio vantaggio, per far scoprire, oltre alla cultura, parola che più che la mano alla fondina goebbelsiana, ora provoca il riflesso pavloviano della mano sullo smartphone che così facendo nuovamente si presenta per l’ennesima testimonianza del “mi riprendo, dunque sono”, qualcosa che ci appartiene ed è patrimonio universale di tutti. Una sensazione comune di appartenenza artistica, un canto pieno di poesia e di vita a tutte le latitudini, dal più profondo fango terreno, allo sguardo vertiginoso che sfida lo zenit del più alto empireo: il teatro.

Se questo articolo vi è piaciuto, vi invitiamo a leggere la nostra rubrica sui mestieri del teatro e gli articoli che abbiamo realizzato, come quello dedicato alla figura del regista oppure ascoltare le puntate del nostro podcast, dedicato al mondo teatrale.

Focus sui mestieri del teatro: il drammaturgo

in Rubrica

Riprendiamo il nostro approfondimento sui mestieri del teatro proseguendo con quello del drammaturgo. C’è un’immagine che può raccontare efficacemente l’essenza del mestiere del drammaturgo, quella di Carlo Goldoni intento a scrivere la scena di una sua commedia su un tavolino ai bordi del palcoscenico. C’è fatalmente, o ci dovrebbe essere, un rapporto stretto tra palcoscenico e scrittura drammaturgica, e lo sapeva bene il commediografo veneziano, che tanto si era battuto per la sua riforma teatrale, volta a portare di nuovo al centro del sistema teatrale il testo scritto.

Per far questo ha applicato il principio della gradualità, si è avvalso ovvero della ricetta del mitridatismo, inserendo in dosi sempre più robuste l’intervento delle parti scritte, e rendendo, dunque, questo elemento non venefico al gusto degli interpreti. Scrivere un testo teatrale non riguarda la pura e semplice sfera apollinea, non può e non deve essere un mero esercizio intellettuale, culturale, la pura e semplice riproposizione di schemi, more geometrico, di meccanismi scenici, ad esempio legati ai topoi più efficaci della comicità o che possiamo riscontrare ad esempio all’interno del dramma.

Dario Fo, Focus sui mestieri del teatro - Il drammaturgo

La teoria aiuta, così come le stratificazione mnestiche, la memoria di tutta la drammaturgia precedente e contemporanea, tuttavia respirare la polvere di palcoscenico, conoscere da vicino, o meglio ancora dall’interno, le meccaniche, il funzionamento del “fare teatro” è condizione indispensabile. Avere la cognizione dell’imprescindibile elemento umano della scena, padroneggiare quella pittura materica fatta di fonemi, di gesti, quello scorrere dei quadri, la naturalità dei dialoghi e delle situazioni, rappresenta la sfida irrinunciabile.

E non c’è esercizio più complesso che quello della restituzione della verosimiglianza, anzi di quell’ulteriore orizzonte dato dalla ricerca del “più vero del vero”, della difficile distillazione della vita nella sua versione quintessenziale, ad alta gradazione alcolica. L’obiettivo è sostanzialmente quello di fare dell’umano una sorta di universale poetico, e allo stesso tempo, aprire, attraverso la propria scrittura, un patto drammaturgico, un patto di fede con gli spettatori, portandoli a credere, almeno per il tempo dello spettacolo, a quell’ipotesi di vita che si realizza sul palcoscenico.

Sarah Kane, Focus sui mestieri del teatro - Il drammaturgo

Dunque, un testo va sperimentato alla sua prova dei fatti, sulla scena, le battute devono vibrare nelle laringi, devono diventare fiato, vestire, insomma, la carne dell’interprete, e quel vestito deve essere necessariamente un lavoro di alta sartoria drammaturgica. Citando sempre Goldoni, il personaggio della Locandiera nasce dall’osservazione di un’attrice, dalla valutazione attenta di un potenziale espressivo, capitalizzabile in un nuova creazione teatrale, insomma l’interprete Corallina diventa, nell’intuizione goldoniana, forte e determinata quanto il cogito cartesiano, la Locandiera, scavalcando e facendo letteralmente terremotare quella gerarchia all’interno delle compagnie, nelle quali alla prima attrice andava riservata la parte preponderante del peso testuale.

Proprio per questi motivi abbiamo deciso di dedicare il nostro focus sui mestieri del teatro al drammaturgo. Fondamentale in quanto è chiamato, se non a risolvere l’equazione umana, almeno a prevedere una scrittura che sia con essa compatibile, un elemento che sappia tradurre, e non tradire, la complessità dell’esperienza umana, la quale non può rinunciare all’ingrediente psichico, a quello emotivo, ed al linguaggio immediato dell’espressione corporea. La scrittura teatrale deve avere il carattere della necessità, deve letteralmente urgere nelle dita del drammaturgo, e tramutarsi nel frenetico battere sulla tastiera.

Focus sui mestieri del teatro - Il drammaturgo

In questo nostro focus sui mestieri del teatro, parlando della figura del drammaturgo, non possiamo non citare un altro celebre nome. Pirandello ha dato una visione efficace di cosa sia il travagliato percorso dell’ispirazione, quando, nei Sei personaggi in cerca d’autore, fa raccontare ad uno di essi come lui egli altri si siano affacciati, diverse volte, da fuori, alla finestra dell’autore, nel tentativo di stimolare la sua creatività, chiedendogli di avere una forma compiuta, di non svaporare nella terra di mezzo del possibile, dell’idea nebulosa, tutta da sviluppare ed articolare.

Per testimonianza di diversi autori, i testi, i personaggi, finiscono quasi con lo scriversi da soli, come se l’autore fosse letteralmente posseduto dalla storia e da essi, diventasse un tramite di forze superiori, una Pizia in grado di portare la voce oracolare di un Apollo. Il drammaturgo si immedesima stanislavskijanamente, prima degli interpreti, nei personaggi, anche in quelli più lontani dalla sua sensibilità etica, anche in quelli che maggiormente detesta, li vive coerentemente dal di dentro, ricrea quel particolare, unico, flusso di coscienza che li contraddistingue. Fatte queste considerazioni appara dunque evidente che scrivere teatro equivale idealmente a mettere al mondo un nuovo mondo.

Se questo articolo vi è piaciuto, vi invitiamo a leggere gli altri approfondimenti presenti tra le nostre rubriche, come quello dedicato alla figura dello scenografo, un altro ruolo importante per la buona riuscita di uno spettacolo teatrale.

Focus sui mestieri del teatro: il regista

in Rubrica
Il regista Giorgio Strehler insieme al maestro Riccardo Muti

Per la nostra rubrica I mestieri del teatro, oggi vi raccontiamo la figura del regista, una delle più affascinanti e discusse. Nella meravigliosa follia che è il fare teatro deve, per citare il Polonio di Shakespeare, esserci del metodo. Si è fatalmente creata la necessità, chiamando in causa i percorsi etimologici di adottare il termine “regista”, di qualcuno che si prendesse l’onere e l’onore di reggere le sorti della scena.

Insomma, qualcuno che potesse trovare il colpo d’occhio giusto in grado di far vincere allo spettacolo la battaglia con il pubblico. In Italia la rivoluzione copernicana della regia arriva un po’ tardi, e taglia idealmente il traguardo con notevole distacco rispetto ad altre realtà europee, ad esempio quella francese e tedesca. Ovvero nel dopoguerra con nomi del calibro di Luchino Visconti e Giorgio Strehler.

Il regista Giorgio Strehler, celebre nome all'interno dei mestieri del teatro

Le ragioni di questo ritardo si ritrovano nella struttura capocomicale delle nostre compagnie che trovava le sue radici nella commedia dell’arte, dove questa figura era una sorta di padre padrone della singola compagnia, magari con la bonomia e la saggezza del bon paron goldoniano, ma comunque amministratore, interprete ed organizzatore di tutto il gruppo di attrici ed attori. Un problema che per lungo tempo non ha trovato un reale ed efficace punto di svolta utile a far nascere qualcosa di diverso. Il salto quantico avviene nel momento in cui si crea la necessità di un progetto insieme etico ed estetico che sottenda uno spettacolo, che ne rappresenti le solida fondamenta.

Con il perfezionarsi di tutte le tecnicalità, tra i mestieri tecnici del teatro sempre di più si afferma l’esigenza di un centro aggregatore, una forza di gravità in grado di opporsi alle forze centrifughe e dispersive delle singole individualità. La regia è una forma di monarchia e non è scontato che sia di carattere costituzionale. Potrebbe il regista idealmente affermare, con il piglio, la determinazione e la risolutezza del comando del re Luigi XIV: “l‘étatc’est moi”, lo Stato, ovvero lo spettacolo sono io, tuttavia rischierebbe ammutinamenti del Bounty, od i coltelli in Senato contro il Cesare tiranno, se mancasse l’obiettivo della conquista e del riconoscimento del suo ruolo.

I preziosi consigli di un regista in scena, nello svolgimento di uno dei mestieri del teatro più importanti

Al pari di un generale, di un maresciallo napoleonico, deve idealmente percorrere il suo cursus honorum, conquistarsi i meriti sul campo, nonché la fiducia dei compagni d’arme, che gli permetta di comandare con la certezza di essere seguito. Lo scarto è tutto tra l’essere autorevoli e l’essere autoritari, ossia sulla gestione della propria corona, un delicato affaire che i re shakespeariani conoscono molto bene. È chiamato certamente ad una sfida difficile, quella di avere il controllo, la visione d’insieme del serio e delicato gioco teatrale. Deve necessariamente diventare enciclopedico, avere nozioni di scenografia, luci, costumi, e soprattutto è chiamato ad essere un buon maestro d’attori.

Di fatto, rappresenta uno dei mestieri del teatro fondamentali e non c’è regista che non abbia compreso, prima o poi, che, per portare a casa il risultato con gli interpreti dello spettacolo, debba acquisire delle nozioni di psicologia. Rimboccandosi le maniche come una levatrice, o come un Socrate pronto ad incalzare dialetticamente i suoi concittadini, cerca di favorire il travagliato parto dei personaggi da parte di tutta la sua compagnia. Deve familiarizzare ed imparare a riconoscere a tatto, o meglio d’istinto, la fattura, la trama e l’ordito delle anime insieme degli interpreti e dei ruoli, si ritrova a confrontarsi con un fitto roveto di resistenze, di nevrosi, a volte persino di psicopatologie che segnalano decisamente, come farebbe un amperometro, che in un certo punto non c’è passaggio di corrente, che nella singola scena, nel dialogo, o nel monologo non scorre come dovrebbe.

Luca Ronconi regista, ed esponente di uno dei mestieri del teatro

Si ritrova spesso e volentieri letteralmente sepolto da una serie di domande, dai colpi dei mille “perché”, e deve imparare a rispondere, o, meglio ancora, ad anticipare i quesiti. È altamente istruttivo ed esplicativo il racconto che Peter Brook fa di una sua iniziazione alla regia teatrale, prima delle prove si era preparato bozzetti, schemi geometrici per la determinazioni delle posizioni e dei vettori di movimento, ma, una volta giunto il momento di verificare tutto questo sul palcoscenico, si accorse che quello che sul foglio sembrava essere un’ottima soluzione, smetteva di funzionare con gli interpreti in carne e ossa.

In questo risiede la difficoltà maggiore del mestiere del teatro di cui vi stiamo raccontando. Le prove dello spettacolo vanno affrontate immergendosi fino alla testa nel Panta rei, nel “tutto scorre” del divenire scenico, avendo lo stesso atteggiamento di Napoleone che, a fronte di manuali di tattica e di strategia bellica, suggeriva di essere lì, di vedere che cosa accade sul campo di battaglia e di reagire di conseguenza, costruendo, secondo l’esigenza di mutamento dell’immediatezza, di volta in volta, le soluzioni più adatte.

Se questo articolo vi è piaciuto, vi invitiamo a leggere gli altri approfondimenti presenti tra le nostre rubriche, come quello dedicato alla figura del drammaturgo oppure quello sullo scenografo, entrambi ruoli importanti nella buona riuscita di uno spettacolo teatrale.

Al via la rubrica sui mestieri del teatro

in Rubrica
Rubrica dedicata alla scoperta dei mestieri del teatro

Tutti, da bambini, abbiamo avuto l’irrefrenabile impulso, prima o poi, di scoprire come funzionava il giocattolo che tenevamo in mano, tutti, ad un certo punto ci siamo chiesti cosa ci fosse sotto la superficie dell’iceberg, che cosa si nascondesse sotto l’acqua. Nel nostro caso, con questa nostra rubrica, vi racconteremo dei mestieri del teatro. Si tratta di un impulso, qualcosa che va al di là della pura curiosità intellettuale, piuttosto è vicino a quel desiderio di “conoscenza” evocato dall’Ulisse dantesco. Ecco perché, traendo ideale ispirazione dal quadro “Lezioni di anatomia” di Rembrandt, abbiamo voluto offrire una rubrica che indagasse sui vari mestieri del teatro.

Uno spazio si occupasse di quella fisiologia che caratterizza ogni messa in scena, perché, per parafrasare Fossati, la costruzione di uno spettacolo spezza le vene delle mani. L’atto creativo che accompagna ogni testo rappresentato sul palcoscenico è il risultato di una filiera, necessaria perché il tutto avvenga. Insomma, questa grande magia, che in apparenza viene troppo spesso liquidata come un facile divertissement, come un gioco di prestigio, un abracadabra più facile e veloce del tempo necessario a pronunciarlo, è la conclusione di un lavoro di squadra, l’opera di professionisti che permettono al teatro di presentarsi in quella forma compiuta, pronta a disvelarsi agli occhi degli spettatori.

Un'immagine tratta da uno spettacolo teatrale, dove il regista rappresenta uno dei mestieri del teatro

Nel raccontarvi con questa rubrica i mestieri del teatro, ci confronteremo con interpreti, registi, light designer, scenografi, costumisti, il catalogo mozartiano sarà questo, e molto altro ancora, dal momento che la nostra indagine andrà a scoprire anche le zone meno cartografate della variegata geografia teatrale. Come approfondito anche da Rai Cultura, allo stesso modo non dimenticheremo altri soggetti forse meno popolari come gli uffici stampa, le biglietterie, quel mondo che si muove in punta di piedi per non disturbare il teatro, ma con la propria laboriosità fa sì che tutto funzioni al meglio.

Numerosi artisti e tecnici vivono nella laboriosa villa del Cotrone pirandelliano, molti di loro sono nascosti nel retropalco. Essi rappresentano invisibili ma necessari lavoratori che sanno bene quanto, molto spesso, l’essenziale sia invisibile agli occhi. Quanto la loro fatica permetta ad ogni maestro di cerimonie, a ciascun Vatel teatrale, di costruire i suoi giochi come se avesse lì ogni volta, dalla parte della platea, Luigi XIV e la sua corte. Lo spettacolo, questo esempio fulgido del Panta rei eracliteo, che vive nel tempo, ed in esso si consuma, è di fatto la conseguenza, l’effetto di una laboriosa architettura, di una rete intessuta con pazienza e dovizia a dir poco impeccabile per risultare convincente al limite del reale.

Una scena teatrale allestita da uno scenografo, uno dei mestieri del teatro

Non capita spesso allo spettatore comune di osservare il prima o il dopo dell’atto teatrale, di scoprire come si debba distillare, come esperto chimico, una generosa porzione di tempo per ricavarne quell’essenza, quel concentrato che esplode sulle papille gustative estetiche dello spettatore, corroborando tutto il suo sistema spirituale, nel tempo di un’ora e mezza circa, o meglio ancora in ogni singolo istante. Come si può, allora, resistere alla tentazione di aprire ed esplorare questo corpo teatrale, vederne l’interno, il sistema circolatorio ed il cuore stesso pulsare generosamente?

Fa girare la testa, arriva a mettere i brividi pensare quanto lavoro sia necessario e sia dedicato per levigare, con pazienza e precisione da orefice, un solo attimo capace di generare una sensazione pura, incontaminata, si tratta di una vera forma di artigianato dell’anima, e vedendo tutto questo, ed essendone cosciente, ci si potrà porre, seduti sulla poltroncina teatrale, lo stesso interrogativo del sognatore dostoevskijano, un intero istante di felicità è forse poco in tutta la vita di un uomo?

Se vi è piaciuto questo articolo, vi invitiamo a leggere il nostro speciale sull’attuale situazione che sta vivendo il teatro in Italia o quello in cui analizziamo il nostro vivere quotidiano paragonandolo ad un testo di Čechov e sottolineandone alcune curiosi aspetti.

1 7 8 9
it_ITItalian
Torna all'inizio