Nell’ambito della rassegna Teatro 2.0 Live Streaming “Ieri e Oggi” vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Illogical Show, Teatro comico di situazione, ideato e realizzato dal trio Trejolie composto da Tomas Leardini, Marcello Mocchi e Daniele Pitari.
Il gruppo Trejolie ha avuto una felice folgorazione che ha saputo tradurre in uno spettacolo, ossia quella di tornare ab urbe condita, alle radici stesse della nostra tradizione comica. Hanno riempito un particolarissimo ed originale zibaldone dei lori personalissimi lazzi, dei giochi scenici che sono il risultato di una laboratorialità, di un metodo scientifico, galileiano, fatto di teorie comiche provate sul campo. Il processo di professionalizzazione della recitazione ha preso le mosse, nel nostro Paese, proprio dalla tradizione della commedia dell’arte, dalla necessità di dare un riconoscimento di artigianato artistico all’interprete, ed a questa tradizione guarda idealmente questo trio di attori. Guardarli ed ascoltarli dà l’impressione di osservare la genealogia stessa della scena comica, di vedere un manuale vivente di comicità che ci mostra la struttura molecolare, e prima ancora atomica, democritea, di questo genere. Attingendo dal mondo metaforico calcistico, questi giocatori sanno decisamente trattare il pallone.
Fanno gioco di squadra, non ci sono individualità che cerchino l’impresa eroica della corsa verso la rete in solitaria. Fanno passaggi brevi, geometrici, finalizzati alla costruzione di un azione che traguardi con il gol costituito della risata. Ascoltano il prezioso consiglio che Franco Parenti dava ai giovani interpreti, ossia quello di farsi recitare dall’altro, di restituire il tono corretto, intonato con quello ricevuto. Si aiutano, si sostengono, si parlano prima di tutto con gli sguardi, con i cenni di intesa, costituiscono un piccolo coro di comicità nel quale ognuno dei tre diventa, a turno, corifeo. Giocano con l’assurdo, con il paradosso, decostruiscono il linguaggio, la struttura stessa delle azioni sociali, portano in dote alla loro vis comica la forza iconoclastica del dadaismo, del surrealismo, di quella dinamite artistica, rappresentata dalle avanguardie del ‘900, che sa ancora esprimere tutto il proprio potenziale esplosivo anche nel nostro ventunesimo secolo.
Ricordano da vicino le comiche del cinema muto, le slapstick che, non a caso, erano particolarmente amate da Beckett, il quale cercava di dare al suo Vladimiro, al suo Estragone, al suo Hamm, al suo Clov, la stessa forza espressiva, la stessa stupita presenza di un Buster Keaton, maschera paradossalmente e quietamente seria, nel mezzo dell’occhio del ciclone della comicità. Applicano il metodo di una sorta di scrittura automatica, mutuata da Breton ed il suo gruppo di surrealisti. Costruiscono una struttura a domino, amata, ad esempio, dal buon vecchio Buñuel, ed applicata nel film Il fantasma della libertà. E costruiscono la loro personalissima versione del gioco surrealista “Il cadavere squisito berrà vino novello”, applicando un metodo similare, ovvero elaborando frasi sceniche in cui il soggetto, il predicato ed il complemento sono deliberatamente illogici perché chi costruisce la singola parte ignora quanto elaborato da chi lo ha preceduto.
L’illogicità di questo Illogical Show equivale alla costruzione di una geometria non euclidea, assistendo al loro spettacolo ci si convince che da un punto esterno ad una retta esistenziale passano infinite rette parallele, infinite occasioni di comicità. Il loro linguaggio si arricchisce di grafemi composti dal corpo stesso degli attori, che si piegano, si arcuano, come se andassero a comporre delle lettere, come se costruissero una coreografia originale, instancabile. Fanno dell’attesa del loro Godot, un godimento prima di tutto per gli spettatori. Con i raggi ics del loro testo scenico, mostrano la radiografia della vita quotidiana, rendendo visibili tutte le fratture scomposte dell’assurdo. Si alternano ad essere quegli esseri dispettosi, quei Puck, quei folletti shakespeariani che si divertono a scompaginare i fili di una storia. Sono la provocatoria divinità, spesso fastidiosa, La Tiche, la dea personificazione della sorte che, nella commedia antica, si divertiva a scompaginare le carte ai personaggi in maniera assai efficace e precisa.
Qui si triplica nei tre interpreti, diventa una affiatata trimurti, una terna arbitrale che gioca contemporaneamente la partita che dovrebbe dirigere, creando un irresistibile effetto comico. Ecco che l’invocazione al personal trainer, in questo gioco scenico, può essere salmodiata come una preghiera liturgica, e le parole di una canzone possono volutamente deragliare nel grammelot, in una lingua altra che dica soprattutto l’indicibile. Questo Illogical Show ha idealmente in tasca la lezione di Wittgenstein, ossia che il limiti del linguaggio sono anche i limiti del mondo, dunque per ampliare l’orizzonte, per cartografare, mostrarci nuovi mondi, fa sapientemente cortocircuitare le parole. Inventa un nuovo dire fatto insieme di fonemi e di gesti.
Gli attori cercano, come accade nelle comiche del cinema muto, di costruire il senso delle azioni quotidiani, a passo veloce, ed i programmati fallimenti delle azioni sceniche hanno l’effetto immediato della risata, l’irresistibile effetto dell’esistere che non si arrende nell’esercizio dell’insistere . Ci ricordano che la comicità non è figlia di una divinità minore, e regala una catarsi, in grado di purificarci l’anima dalle tossine del quotidiano. Strappano un sorriso alle seriose divinità, e dimostrano, con il loro Illogical Show, che con un sorriso si può togliere un po’ di fastidiosa tara alla vita quotidiana, e conquistare un passo leggero.
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