Immagine della recensione La chimica invisibile

La chimica invisibile – Recensione Teatro

in Novità/Teatro

Nell’ambito della rassegna digitale Portiamo il teatro a casa tua, ideata e creata da Mariagrazia Innecco, vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo La chimica invisibile, da un’idea di Mariasole Bannò, scritto da Andrea Albertini. La regia è curata da Bruno Frusca.

Le attrici che interpretano i sei ritratti di scienziate sono Martina Ajmone Marsan nella parte di Ada Lovelace Byron, Mariasole Bannò in quella di Hedy Lamarr, Elisabetta Orlandi ne ruolo di Marie Curie, Francesca Piatti nella parte di Rosalind Franklin, Rosanna Pedrinelli in quella di Mileva Marič, e Beatrice Erba nei panni di Sof’ja Kovalevskaya.

Che cosa succede quando si va al di là della particella più piccola, quando si ha il coraggio di togliere le ultime vestigia di materialità all’atomo di Democrito? Accade quello che è meravigliosamente espresso nel titolo di questo lavoro, si trova la chimica invisibile. Si scopre, in questa dimensione nascosta, qualcosa che traguarda fatalmente nella dimensione metafisica, si ha la percezione dell’anima. E l’anima si declina al femminile, è la forma trascendentale, di kantiana memoria, con cui si fa esperienza del mondo. Ecco dunque sei ritratti di donne scienziate, in grado di trovare pascalianamente le ragioni del cuore, che la ragione non conosce. E dove sta scritto che le formule matematiche, fisiche, chimiche debbano necessariamente essere aride, scheletriche sistematizzazioni dei fenomeni della realtà? Questo lavoro ci fa scoprire un’incredibile affinità elettiva tra la poesia e la scienza, entrambe cercano l’universale, lo condensano proprio in quelle formule che abitano le lavagne.

E queste lavagne sono giustamente parte integrante della scenografia. Queste donne riescono a dimostrare a se stesse, ed a tutti gli spettatori, quanto si possa almeno sforzarsi di trovare la quadra fra ragione e sentimento, di disegnare una vinciana donna vitruviana, nelle cui proporzioni del cuore possano convivere il cerchio di Dioniso ed il quadrato apollineo. E nella loro umidità cardiaca, tra le caverne emotive dei ventricoli, trovano rifugio i loro lavori scientifici. La biografia che vivono è inscindibilmente legata ai frutti del loro lavoro, la vita è il laboratorio nel quale l’anima fa esperienza di se stessa, e può alzare orgogliosamente il capo verso il cielo, verso il mondo delle conoscenze superiori, proprio come fa l’Epicuro di Lucrezio. Si parte con Ada Lovelace Byron, nella quale il sentimento poetico è già iscritto nel codice genetico, visto che è la figlia, mai riconosciuta, di Lord Byron.

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Vive con la scienza, con la matematica, un rapporto molto prossimo a quello che il letterato del romanticismo vive con la propria arte, ossia uno sturm und drang, una tempesta ed un impeto, un’energia elettrica emotiva che illumina tutta la sua ricerca. Poi si passa attraverso ad Hedy Lamarr, femme fatale, sembra uscita da una canzone di Brecht e di Weill, una canzone in grado di dimostrare quanto una donna possa valere tanto ed anche più di un uomo. Scienziata ed attrice, è in grado di fare della propria anima, mille anime, di concederla generosamente anche nella forma della ricerca scientifica. Dimostra quanto la femminilità sia uno strumento in grado di sedurre anche la conoscenza, e che in una donna possano convivere l’archetipo psichico di Venere con quello di Atena. La bellezza e la saggezza coabitano in una riuscita sintesi hegeliana, che regala la sostanza esistenziale a questa biografia.

E se poi il pubblico volgare, schiacciato sulle latitudini testosteroniche, ne ha un’immagine a senso unico, monodimensionale, ovvero della bambola da desiderare, basterà l’entusiasmo scientifico, che scintilla dai suoi occhi guizzanti, per cancellare questo imperdonabile errore. Poi è il turno di Maria Sklodowska, ovvero Marie Curie, in cui la scoperta della radioattività si muove su due piani, quello fisico e quello metafisico. Scoprendo l’energia che si sviluppa, da certi elementi, che “scheggia gli atomi”, scopre in sé questa forza, in grado di restituire l’immagine interiore della propria anima, l’ossatura di questo corpo spirituale. Viene poi il turno di Rosalind Franklin, di una scienziata che ha contribuito alla scoperta del DNA, degli atomi invisibili della vita, ed il riconoscimento del suo lavoro fu postumo, perché quel pregiudizio di declinare la scienza al maschile è purtroppo duro a morire. Ma la verità trova la sua giustizia in questi appassionati occhi femminili.

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La successiva è Mileva Maric, fisica serba, prima moglie di Einstein, in grado di farci comprendere quanto ci possano essere delle imperfezioni, delle macchie solari, nel ritratto luminescente di un grande scienziato. Ci ricorda la faccia nascosta di questa Luna, il contributo dato agli studi sulla relatività che la comunità scientifica ancora non le riconosce. Eppure la capacità di fare il salto quantico, di superare le leggi newtoniane, le definizioni di spazio e tempo, è già lì, naturalmente a disposizione dell’anima femminile, in cui lo spazio si piega per accogliere nuovi sentimenti, ed il tempo si allunga e si accorcia lungo il filo delle percezioni emotive. Completa questo incredibile sestetto Sof’ja Kovalevskaya, vissuta nel XIX secolo, matematica, innamorata di questa scienza, con gli occhi ancora catturati dalla visione dei misteri delle cose superiori. Porta con sé un generoso sorriso negli sguardi, che raccontano il colpo di fulmine per i numeri.

Tutte le attrici investono un generoso capitale di generosità recitativa nei personaggi interpretati, si lasciano attraversare da questa corrente elettrica, da questo magnetismo, da questa radioattività di biografie al femminile. Il testo di Andrea Albertini trova tutta la poesia che vive nella scienza di queste donne, e la regia di Bruno Frusca si rimbocca efficacemente le maniche per aiutare il parto sula scena di queste scienziate. L’immagine che inizia e chiude lo spettacolo è l’efficace tableaux vivant, la fotografia che racchiude, in una riuscita sovrimpressione temporale, le sei donne, sei modi di declinare la scienza al femminile, e di darle un cuore, come quello di Chopin, gonfio di passioni da raccontare, in questo caso, con la musica della matematica, da custodire nella cattedrale della scienza, per donare ad essa, definitivamente, l’illuminante capacità di intuizione, gli algoritmi spirituali, la sottile sensibilità, la cardiaca razionalità della donna.

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