Stasera si va accapo -Recensione Teatro
Nell’ambito della rassegna digitale Portiamo il teatro a casa tua, ideata e creata da Mariagrazia Innecco, vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Stasera si va accapo, con Marilina Giaquinta e Anna Nicoli. L’azione artistica è curata da Paola Brusa, e le musiche sono realizzate da Marco Pagani.
C’è un meraviglioso duetto, nell’opera lirica di Delibes Lakmé, chiamato duetto dei fiori, nel quale due donne si cantano l’anima vicendevolmente, accarezzando l’udito con la seta delle loro voci: ecco, le protagoniste di questo spettacolo hanno riprodotto quelle stesso effetto. Due voci, declinate al femminile, sono la quintessenza dell’umano, con il profumo di una metafisica sottile, lirica, che riesce a intridere di sé ogni ascoltatore. Marilina Giaquinta e Anna Nicoli vivono in scena un’unica ed irripetibile affinità elettiva, un magnifico gioco di specchi della galleria di Versailles, momentaneamente spostata a Milano, in piazza della Repubblica. Sono gioiose baccanti, che vibrano ancora di un rito dionisiaco misterioso, come il terzo uomo aristotelico, che vive in loro; ma, soprattutto, sono e dimostrano, con la loro voce e la loro presenza, tutta l’urgenza, la ribollente magmaticità dell’esserci.
I loro sorrisi, che vivono, nella percezione della platea, in una mesmerizzante soluzione di continuità, riproducono la linea curva dell’arco di Ulisse, in grado di scagliare frecce che ti arrivano fino ai più remoti anditi cardiaci. La scrittura di Marilina è materica, fisica, ha una sua percepibilità da parte di tutti i sensi. La si può toccare, odorare, fiutare; ne potrebbe seguire la scia anche il Gassman cieco di Profumo di donna. Qui si fa tesoro della lezione aristotelica della Poetica: la poesia non è data dalla forma esteriore, ma da quella ipoteca, quella sfida di universalità che sa lanciare, quello squarcio di assoluto che sa trovare tra le pieghe ritorte del linguaggio. L’etologia, l’astronomia, la scienza diventano una lucente occasione di proporre poesia. Si ritorna, felicemente, ai presocratici. Non a caso l’autrice proviene dalla Sicilia, dalla Magna Grecia, in cui la filosofia era espressa in forma poetica;
basti ricordare Parmenide, Eraclito, Empedocle. E, proprio come quest’ultimo si getta nel ventre del vulcano Etna, così l’autrice si immerge nella lava, nella materia ancora viva e vitale del linguaggio, e la restituisce allo spettatore, in tutto il suo calore e la sua forza. L’amore che qui si canta, è quello, disperato e disperante, necessario, estremo, delle due unità separate dell’essere androgino, che, una volta ritrovate, si abbracciano selvaggiamente, nel desiderio di fondersi. Il corpo diventa la bacchetta del rabdomante lirico, in grado di vibrare decisamente, laddove si trovi una fonte di questo eterno sentimento. Lo spettacolo si arricchisce, si sdoppia, anzi si triplica, attraverso l’intervento di due artisti, che aumentano la percezione sinestetica della pièce. Il musicista e compositore Marco Pagani crea delicatissimi passi di danza sonora, tessuti serici musicali, che frusciano felicemente tra la grazia tersicorea delle parole di questo spettacolo.
La pittura di Paola Brusa è un atto totale del corpo e dell’anima: un quadro di Pollock vivo, materico, trasudante emozioni e pensieri, che si arricchisce di parole, e si lascia scorrere nel fiume eracliteo, mai uguale per due volte, di ogni singola rappresentazione. Anna Nicoli ha ragioni del cuore che nemmeno Pascal conosce: nello sguardo porta la luce del sì alla vita della Molly Bloom joyciana, la curiosità impertinente e giocosa degli angioletti di Raffaello, la tenerezza pudica nel primo bacio dei puttini di Bouguereau. Ascoltarla è come sentire lo scorrere puro di una fonte, la semplicità e l’immediatezza del rumore dell’acqua che lega, nella sua essenza, il visibile e l’invisibile. Porge ogni fonema con delicatezza, come se offrisse, idealmente, fiori eterei al pubblico. Marilina Giaquinta porta il suo siciliano in dote alle parole che pronuncia, e lo fa liberamente cortocircuitare in un gioco gaddiano,
In questa dimensione il linguaggio si scrolla di dosso tutta l’accademica bronzatura, e tutta la pesante armatura del dover significare in modo univoco . La sua parola è veloce, agile: fa capriole, ha l’argento vivo dell’enfant terrible, ruba grappoli di luce al cielo della poesia, donandoli con generosità. Riesce a ritrovare la forza divulgativa della scienza nella sua poesia, colorandola e sfumandola con nuances tenui; riesce a suonare, parlando, emozionanti pianissimo. Ha, con la sua voce, lo stesso struggente spirito di Beethoven nel film Amata immortale, che suonava il Chiaro di luna con l’orecchio attaccato al pianoforte, per “sentire” la vibrazione della sua musica. Ecco, l’autrice vuole far sentire le sue parole, vuole ricreare l’atto stesso, il terremoto emotivo che le hanno generate; le modella, le plasma in corpi sempre cangianti.
Il senso del tatto aleggia in tutto lo spettacolo, come una forza di attrazione misteriosa e invincibile, un desiderio di voler percepire anche con la pelle la poesia, sentirne l’immediatezza corporea, così come sensazioni corporee erano le estasi delle sante e dei santi. E, di nuovo, un misterioso sorriso si palleggia da un’interprete all’altra, contagiando i due artisti e tutti gli spettatori. Si realizza il miracolo di vedere La dama con l’ermellino condividere il misterioso arcuarsi delle labbra della Gioconda. E’ l’immediata, indeterminata, enigmatica chiosa al bisogno d’amore che viene comunicato in ogni verso poetico. Il lungo applauso finale, qui più che mai, diventa abbraccio, che il pubblico tutto tributa a ogni interprete di questa riuscitissima esperienza.
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