Tag archive

Circo

L’uomo,la bestia e la virtù

in Teatro
Immagine della recensione L'uomo la bestia e la virtù

Nell’ambito della rassegna teatrale 2021/2022 del Teatro Oscar vi presentiamo la recensione dello spettacolo L’uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello. La regia è curata da Alberto Oliva. Gli interpreti sono Mino Manni, Rossella Rapisarda, Gianna Coletti, Andrea Carabelli, Riccardo Magherini, con la partecipazione del baritono Angelo Lodetti.

Il circo è un meraviglioso modo di dire il mondo, di tingerlo con i colori forti, violenti, della pittura espressionista, per rendere le sue storture ancora più storte, come le scenografie del gabinetto del dottor Caligari. La vita mette in mostra se stessa nella maschera più estrema, quella del clown, in grado di sovraimprimere in se stessa il tragico e il comico. Tutto questo il regista Alberto Oliva lo sa, e ambienta la commedia pirandelliana in una pista da circo dove possono sfilare, oltre i cavalli astronomici del Woyzeck, le bestie, gli uomini e le virtù del drammaturgo pirandelliano. Può succedere, dunque, che la moglie del capitano diventi una sorta di attrazione circense, una Lola Montès ophulsiana che veste la giubba, la faccia infarina, e tramuta in lazzi lo spasmo e il pianto. Nel clown la maschera è dichiarata, volutamente esagerata, un po’ disturbante.

Si impregna dell’odore della tragedia e della paura, nascosto dai belletti e dai profumi. Già Pirandello sapeva che la borghesia aveva un fascino irresistibile, un laboratorio antropologico, morale, spirituale, nel quale sperimentare la quiddità umana. Riecheggia idealmente la voce di Bowie a ricordarci che questo è il freakiest show, e si può mettere un bel sorriso sulla faccia del dramma di una moglie, facendolo apparire quasi come il sangue di un Glasgow smile. La risata è irresistibile, trascinante, è un meccanismo a orologeria, una clockwork orange, in cui ogni ilarità della platea è una spietata ultraviolenza psichica, trascinata vorticosamente dal direttore di questo circo. Portando idealmente in tasca la frase felliniana “la vita è una festa, dunque viviamola” gli interpreti, sul laboratorio alchemico del palcoscenico, trasformano il piombo della quotidianità dolorosa della middle class nell’oro dell’ilarità. La clownerie è l’atto più estremo, più rivoluzionario che si possa compiere in scena.

Immagine della recensione L'uomo,la bestia e la virtù

Le dinamiche sociali sono spietatamente portate sul piano cartesiano della pista del circo. Bambole e bambolotti biomeccanici mantengono la carica anche oltre ai giri della loro chiavetta, sono esseri che hanno ancora una coscienza a illuminare il loro sguardo, disegnano una simbolica lacrima di Pierrot sul loro viso. È sempre un’esperienza incredibile, stupefacente, quella di assistere alla dimostrazione, more geometrico, di una commedia, di un’architettura vertiginosa che sale con l’arditezza delle cattedrali medievali verso il cielo dell’umorismo. Il susseguirsi dei teoremi delle battute, dedotti uno dopo l’altro, le pause che si incastrano come il giusto pezzo di un puzzle, le voci che si arrampicano verso la testa, sono la testimonianza più vive di questo. E mentre il ventre si gonfia di un’epa falstaffiana, mentre i costumi si colorano della magia circense, l’irrealizzabile libertà dell’io pirandelliano, l’impossibile guardare il proprio guardare, è ben visibile dietro i ceroni e le iperboli.

Oliva ha scrollato di dosso l’accademica e polverosa pirandellinità a Pirandello, rivivificandone il senso  nella musica trascinante, furba, chiassosa,vitale del circo. Il bambino diventa un adulto figlio di qualche dio minore, che ha trovato un improbabile insegnante di sostegno nel professore. Il capitano non è più semplicemente l’orco grottesco che appare nella storia, ma porta in dote, con la sua apparizione, tutta la bestialità di un certo quotidiano, dei brutti, sporchi e cattivi del XXI secolo. Diventa un Popeye che ha preso tutti i vizi di Bruto, che al posto degli spinaci mangia la torta al cioccolato. Mino Manni è un professore, direttore, presentatore di questo circo sociale, ha una sorta di stato di grazia attraverso il quale trova un sorriso che va ben al di là delle categorie dei sorrisi. Si mostra, allo stesso tempo, grottesco, agghiacciante, seduttivo. Porta su di sé tutti gli odori sulfurei delle trasposizioni dostoevskiane.

Immagine della recensione L'uomo,la bestia e la virtù

Gioca febbricitante, senza risparmiarsi, in questa nuova Roulettenburg. Punta tutte le sue fiches esistenziali, vincendo, e facendo saltare il banco. Il demone ben si sposa con la commedia, e mostra ancor più l’evidenza del lato osceno, bestiale dell’animo umano, con la stessa lucida spietatezza con cui viene presentato nel baraccone l’elephant man di turno. Rossella Rapisarda è una moglie al di là del comico e del tragico, un essere molto più a sud degli ultimi santi di Bene, una bambola in cattività nella sua ibseniana casa di bambole, il pagliaccio che ha sempre quel retrogusto un po’ amaro, un po’ triste, che rimane sul palato come il più persistente dei tannini. Gianna Coletti è la duplice serva, stufa del suo ruolo meccanico, della sua fatica sisifesca, che è comica suo malgrado, porta una voce che si fa pietra, profonda, irresistibilmente comica per una platea che vede la sua critica puntuale.

È fatta di poche frasi, di camminate straniate, brechtiane. Oltre a sedersi dalla parte del torto, ha imparato ad accomodarsi dove vuole. Andrea Carabelli nel ruolo duplice del farmacista e del medico, due facce opposte della stessa medaglia, il dionisiaco e l’apollineo, è il perfetto clown bianco, quello che ci prova ancora a misurare e controllare il mondo con la ragione, ma non ha un metro abbastanza lungo per farcela. Riccardo Magherini è un capitano perfetto, una nuova maschera del terzo millennio della commedia dell’arte, un capitan Fracassa in pieno disarmo civile e morale, che riesce a fracassare giusto la sua tavola. È un po’ come una spezia in grado di regalare un gusto inconfondibile a questa ricetta teatrale. E infine il bambino adulto, il baritono Angelo Lodetti, è capace di lasciarsi giocare da questo gioco, conservando un’innocente lucidità, e cantando quello che le sue parole non potrebbero dire.

Immagine della recensione L'uomo, la bestia e la virtù

Se vi è piaciuto questo articolo, vi consigliamo la lettura degli altri che troverete nella sezione teatro e le altre recensioni presenti sul nostro sito. Non dimenticate inoltre di ascoltare il nostro podcast per approfondire i vari aspetti del mondo teatrale.

Il più grande spettacolo del mondo – Recensione Teatro

in Teatro
Foto recensione Il più grande spettacolo del mondo
Ph Elisabeth Petrone

Nell’ambito degli eventi in digitale previsti dal Teatro della Contraddizione vi presentiamo la nostra recensione de Il più grande spettacolo del mondo, un lavoro scritto e diretto da Stefania Apuzzo. Gli interpreti sono Francesca Biffi, nel ruolo della donna cannone, e Luigi Guaineri, in quello di direttore del circo.

C’è una frase di una poesia di Quasimodo che torna alla memoria, in occasione di questo spettacolo, che viene la voglia di tastare, di sentire urgere idealmente sotto le dita, come un mazzo di chiavi fatto girare insistentemente nella tasca: “… nel peso di una vita / che sapeva di circo. Ecco questo lavoro riesce a far sentire tutto il gusto del più grande spettacolo del mondo. Sa di cinnamomo, di biscotti allo zenzero, ma anche di erbe amare, di tarassaco, di quell’agro vivere che è lì, appena sotto il cerone ed il trucco pesante. È stupefacente vedere come Sartre, Camus, e tutto l’esistenzialismo, quello scritto, con la penna dell’autenticità, stia tutto in questa pista del circo, concentrato in due personaggi, un everyman ed una everywoman di una contemporanea morality play che ha in tasca la caustica frase di Muller: “È fatale che la storia non abbia una morale”.

Una donna cannone, che tracima anima dalle labbra, ci racconta ciò che è per se stessa, quel silenzio rumoroso che è lei stessa, il tentativo di esprimere il proprio essere ferita, mancanza. Non le basta una testa, ce ne vogliono tre, due pensieri soprannumerari che inseguono pascalianamente le ragioni del cuore, due compagni di banco di una nuova classe kantoriana. Pare di sentire il gocciolio estenuante delle sue caverne cardiache, dei suoi atri, dei suoi ventricoli. Si stupisce del mondo quanto lo può fare un angelo. Basta il suo sguardo per scoprire la curiosità viva, un po’ malinconica del bambino che conosce le verità per istinto, in quel territorio non ancora recintato dalla parola. Rappresenta l’incarnazione delle parole liriche di Handke, lei che sa  “tutto ha un’anima e tutte le anime sono un tutt’uno”, il suo tempo è giusto lì, nell’istante esatto quando il bambino era bambino.

Foto della recensione Il più grande spettacolo del mondo
Ph Elisabeth Petrone

Si ha l’impressione di trovarsi davanti ad un sogno azzurrognolo uscito da un quadro di Chagall, e bisogna fare attenzione a tenerlo fra le mani, perché è delicato quanto una bolla di sapone. Ecco il primo piano di una piccola grande cosa gozzaniana, che cammina nel mondo senza fare troppo rumore, per non disturbare, che ci accarezza delicatamente con le parole, perché ha paura di farci male. E poi c’è il direttore del teatro, con i suoi colori carichi, presi in prestito da un quadro espressionista, cammina sui trampoli, cerca di essere bigger than life, cerca di passeggiare con disinvoltura sui questi tragicomici coturni. Forse vuole avvicinarsi un po’ di più alla sua Luna, sperando di afferrarla, o almeno di arrivare al suo simulacro, ad una luce cerulea, la goccia di un colore strehleriano, che forma una stalattite di poesia luminosa.

Indossa la sua maschera di durezza, di autorità, il copione gli ha dato il ruolo del padrone di Hegel, che ha lo specchio della donna cannone per conoscersi. E, visto nella vicinanza di un primo piano, o nella magia del sonno, così da vicino, si scopre la sua aria da bambino, la sua fragilità, si scoprono due occhi grandi di un quadro di Margaret Keane, che si allargano per contenere il cielo e tutte le sue nuvole. Le vere protesi per potersi muovere nel mondo gliele dà un’altra anima, quella della donna cannone, che ha visitato le stelle e gliene porta notizia. Sono una coppia di clown, il bianco e l’augusto, l’apollineo ed il dionisiaco, le due metà dell’essere androgino evocato nel Simposio, che hanno, nelle intenzioni dietro le loro battute, il tenace desiderio di toccarsi, di abbracciarsi, di baciarsi.

Foto della recensione Il più grande spettacolo del mondo
Ph Elisabeth Petrone

Com’è struggente la scena in cui sono a meno di un fiato dal baciarsi, ma le protesi di lui, le teste di lei, gli ingombri sono lì a mettersi d’ostacolo, mentre il desiderio delle loro anime è chiaro. La regista Stefania Apuzzo, che ha regalato anche alla drammaturgia il profumo della sua anima, trova nel circo, ed in questi due personaggi, il territorio migliore per raccontare l’essere umano, l’animula vagula e blandula, la voglia, il desiderio di farsi crescere un paio di ali angeliche con le piume delle parole. Ed il circo sembra fatto apposta per esplorare quella linea di pericolo, la sfida funambolica in equilibrio sulla morte o sulla follia. Ci vogliono tutti i vestiti sgargianti, le parole timbrate, a volte un po’ straniate, brechtiane, per reggere una vita da mediano, a recuperare palloni, a giocare fino al fischio finale, facendo finta di regalarsi l’imperturbalità degli dei.

Invece dietro la faccia infarinata, c’è un’anima delicata quanto il bozzolo del baco da seta. Francesca Biffi soffia tutta l’anima nei suoi soffiati, ma propria tutta. Mostra quanto in realtà sia sottile come una piuma la natura di questo personaggio, fatta di polvere di stelle impastata con le lacrime. Mangia popcorn e lacrime, sincera e reale quanto il vento che sferza il viso. Luigi Guaineri è un direttore che cerca di muoversi in linea retta, come da contratto etimologico, se la impone con la protesi dei trampoli, ma la linea spezzata, l’irrazionale sono le intenzioni devianti, i necessari attentati che il sogno fa al suo apparente pragmatismo. Il tableaux vivant di una pietà pittorica, dove il direttore diventa un povero cristo e la donna cannone una madonna, è il momento dove l’ala dell’angelo fa cadere definitivamente il cristallo della prosa, e noi spettatori vediamo il frame definitivo della poesia.

Foto della recensione Il più grande spettacolo del mondo
Ph Elisabeth Petrone

Se questo articolo ha catturato il vostro interesse, vi proponiamo la lettura degli altri che troverete nella sezione teatro e le altre recensioni presenti sul nostro sito. Non dimenticate inoltre di ascoltare il nostro podcast per approfondire la conoscenza del vasto mondo teatrale.

it_ITItalian
Torna all'inizio