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Incontrando il signor G. – Recensione Teatro

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Immagine della recensione dello spettacolo Incontrando il signor G.

Nell’ambito della rassegna Portiamo il teatro a casa tua, ideata e creata da Mariagrazia Innecco, vi presentiamo la nostra recensione dello spettacolo Incontrando il signor G. L’omaggio all’originale, e unico, teatro-canzone di Gaber è portato in scena da Enrico Ballardini e Riccardo Dell’Orfano.

Ci vogliono due polmoni speciali, per portare in scena il signor G; anzi, occorre anche un diaframma che si gonfi di generoso vento interpretativo, come a condurre un veliero. Sì, perché Gaber va oltre Brecht, e crea uno sprechgesang tutto suo, un meticciato unico e incredibile tra parola e canzone, tra prosa e poesia. E i protagonisti di questo spettacolo hanno tutte le carte in regola per vincere questa sfida. Come i due legionari del De bello gallico, si danno la mano l’un altro, si sostengono a vicenda, si passano la palla verbale come fantasisti brasiliani, maestri nel gioco carioca. E, sin dalle prime battute, in platea si ha l’impressione di bere un vino forte, tannico, corposo, uno di quelli che ti scaldano subito le guance, il cuore, la testa. Mettono entrambi l’anima, e tutta la loro carne, nell’interpretazione.

E questo fa, di gran lunga, la differenza. Dionisiaci per vocazione, apollinei al momento giusto, quando la carrettella teatrale deve arrivare in cima ed esitare un attimo, giusto prima di un meritato applauso. E poi, c’è la musica del signor G; anche qui, gli interpreti danno gran prova cantando nell’unico modo possibile, ossia con sincerità, e mettendo nella voce quella luce che va trovata giù, giù, nel fondo di ogni possibile intenzione. Una fisarmonica diventa tutto un mondo, un girotondo, una giravolta, un’intera sala da ballo gioiosa e chiassosa. Si presta meravigliosamente a raccontare le emozioni umane a tutte le latitudini, coprendo l’intero spettro cardiaco: dalla malinconia, alla risata piena, di pancia, divertita e goduta. Qui non si “deliba” uno spettacolo con forchettine, coltellini e posateria varia; qui, signore e signori, si mangia con le mani, si sente il gusto, si tocca, si percepisce.

Immagine della recensione dello spettacolo Incontrando il signor G.

Nel teatro più riuscito, come questo, avviene un particolare miracolo, per cui è come se ci fosse una sorta di ipoteca tattile, ovvero la possibilità che, prima o poi, l’interprete tocchi, letteralmente, lo spettatore (e anche questo accade). E’ unica e irripetibile la magia di questo spettacolo, in grado di farti sentire la carne, i corpi, prima ancora che possano, in qualche modo, sfiorarti. E, ancor più, è un miracolo il farsi cosa salda della parola, recitata e cantata, essa stessa interprete del corpo; cosa viva e vitale, pronta a esplodere, come una supernova, in faccia a ogni spettatore. L’operazione è più che riuscita, visto che riesce davvero a toccare gli atri ed i ventricoli del teatro-canzone di Gaber. Non si limitano ad imitarlo, a farne una copia fotostatica, un cliché stanco e ripetitivo; piuttosto, lo elettrificano con la loro interpretazione, lo innervano.

Lo riempiono di quello spirito caustico, satirico, mordente del signor G, che sapeva leggere la società, e l’individuo, con una capacità di penetrazione ineguagliata. E’ talmente entrato nell’immaginario collettivo, che è irrinunciabile, da parte del pubblico, unirsi al coro della canzone La libertà. A dimostrazione che la parola di Gaber ha il potere di risvegliare qualcosa, in noi, di sonnecchiante ma non intontito, pronto a rivitalizzarsi con gli stimoli giusti. Enrico Ballardini, col suo viso antico, la barba da eroe omerico e il fuoco nello sguardo, è in grado di mesmerizzare immediatamente la platea, e un suo gesto potrebbe essere la formula canonica dell’ipnotizzatore: a me gli occhi, please. Nuota, letteralmente, nel testo e nelle canzoni, e non ha paura di andare dove non si tocca, di bagnarsi, di sporcarsi di parole, di farsele risuonare dentro, di spremerle fino a coglierne l’ultima goccia di senso e di vitalità.

Immagine della recensione dello spettacolo Incontrando il signor G.

Con la chitarra blueseggiante, e una tastiera vintage moogheggiante, costruisce un tessuto sonoro, in grado di donare un valore aggiunto alle canzoni. Riccardo Dell’Orfano, come un guascone dal cuore buono, porta con semplicità il pennacchio cyranesco della sua recitazione; è un Sancho Panza illuminato da un senno speciale, un raisonneur rorido di emozioni. E la sua fisarmonica sembra il naturale prolungamento della sua stessa voce, di tutte quelle emozioni che non ci stanno nelle parole, ma sono immediatamente espresse sui tasti dello strumento. Entrambi respirano con il diaframma, quasi tamburi di guerra, e come respirano; sembrano voler inghiottire il mondo, per poi restituirlo tutto, insieme a loro stessi. La fronte bagnata di sudore, la fatica che si mostra sulle loro camicie, sono testimonianza di un impegno che non viene mai meno per l’intero spettacolo, di una generosità assoluta.

Tutte le cellule dell’interprete, biologiche o spirituali che siano, devono fare la loro parte, per la riuscita dello spettacolo. Tutto il corpo è strumento, anzi orchestra, in grado di aggiungere la propria voce a quella dei due attori. Questo omaggio a Gaber profuma, decisamente, di cuore; si candida ad essere uno spettacolo diverso, altro, capace di risvegliare il senso più profondo di questa particolare forma d’arte scenica. Basta vedere, ascoltare la naturalezza con cui, da un monologo, si passa a una canzone, con una soluzione di continuità in cui non è possibile determinare dove finisca uno, e inizi l’altra. E quel particolare grassettato, quell’umore caldo che anima i fonemi di Gaber, è presente, come non mai, nei due interpreti, che si meritano tutti, ma proprio tutti, gli applausi con cui il pubblico può, catarticamente, tributare loro il giusto riconoscimento.

Immagine dello recensione dello spettacolo In contrando il signor G.

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