Focus sui mestieri del teatro: il regista
Per la nostra rubrica I mestieri del teatro, oggi vi raccontiamo la figura del regista, una delle più affascinanti e discusse. Nella meravigliosa follia che è il fare teatro deve, per citare il Polonio di Shakespeare, esserci del metodo. Si è fatalmente creata la necessità, chiamando in causa i percorsi etimologici di adottare il termine “regista”, di qualcuno che si prendesse l’onere e l’onore di reggere le sorti della scena.
Insomma, qualcuno che potesse trovare il colpo d’occhio giusto in grado di far vincere allo spettacolo la battaglia con il pubblico. In Italia la rivoluzione copernicana della regia arriva un po’ tardi, e taglia idealmente il traguardo con notevole distacco rispetto ad altre realtà europee, ad esempio quella francese e tedesca. Ovvero nel dopoguerra con nomi del calibro di Luchino Visconti e Giorgio Strehler.
Le ragioni di questo ritardo si ritrovano nella struttura capocomicale delle nostre compagnie che trovava le sue radici nella commedia dell’arte, dove questa figura era una sorta di padre padrone della singola compagnia, magari con la bonomia e la saggezza del bon paron goldoniano, ma comunque amministratore, interprete ed organizzatore di tutto il gruppo di attrici ed attori. Un problema che per lungo tempo non ha trovato un reale ed efficace punto di svolta utile a far nascere qualcosa di diverso. Il salto quantico avviene nel momento in cui si crea la necessità di un progetto insieme etico ed estetico che sottenda uno spettacolo, che ne rappresenti le solida fondamenta.
Con il perfezionarsi di tutte le tecnicalità, tra i mestieri tecnici del teatro sempre di più si afferma l’esigenza di un centro aggregatore, una forza di gravità in grado di opporsi alle forze centrifughe e dispersive delle singole individualità. La regia è una forma di monarchia e non è scontato che sia di carattere costituzionale. Potrebbe il regista idealmente affermare, con il piglio, la determinazione e la risolutezza del comando del re Luigi XIV: “l‘état, c’est moi”, lo Stato, ovvero lo spettacolo sono io, tuttavia rischierebbe ammutinamenti del Bounty, od i coltelli in Senato contro il Cesare tiranno, se mancasse l’obiettivo della conquista e del riconoscimento del suo ruolo.
Al pari di un generale, di un maresciallo napoleonico, deve idealmente percorrere il suo cursus honorum, conquistarsi i meriti sul campo, nonché la fiducia dei compagni d’arme, che gli permetta di comandare con la certezza di essere seguito. Lo scarto è tutto tra l’essere autorevoli e l’essere autoritari, ossia sulla gestione della propria corona, un delicato affaire che i re shakespeariani conoscono molto bene. È chiamato certamente ad una sfida difficile, quella di avere il controllo, la visione d’insieme del serio e delicato gioco teatrale. Deve necessariamente diventare enciclopedico, avere nozioni di scenografia, luci, costumi, e soprattutto è chiamato ad essere un buon maestro d’attori.
Di fatto, rappresenta uno dei mestieri del teatro fondamentali e non c’è regista che non abbia compreso, prima o poi, che, per portare a casa il risultato con gli interpreti dello spettacolo, debba acquisire delle nozioni di psicologia. Rimboccandosi le maniche come una levatrice, o come un Socrate pronto ad incalzare dialetticamente i suoi concittadini, cerca di favorire il travagliato parto dei personaggi da parte di tutta la sua compagnia. Deve familiarizzare ed imparare a riconoscere a tatto, o meglio d’istinto, la fattura, la trama e l’ordito delle anime insieme degli interpreti e dei ruoli, si ritrova a confrontarsi con un fitto roveto di resistenze, di nevrosi, a volte persino di psicopatologie che segnalano decisamente, come farebbe un amperometro, che in un certo punto non c’è passaggio di corrente, che nella singola scena, nel dialogo, o nel monologo non scorre come dovrebbe.
Si ritrova spesso e volentieri letteralmente sepolto da una serie di domande, dai colpi dei mille “perché”, e deve imparare a rispondere, o, meglio ancora, ad anticipare i quesiti. È altamente istruttivo ed esplicativo il racconto che Peter Brook fa di una sua iniziazione alla regia teatrale, prima delle prove si era preparato bozzetti, schemi geometrici per la determinazioni delle posizioni e dei vettori di movimento, ma, una volta giunto il momento di verificare tutto questo sul palcoscenico, si accorse che quello che sul foglio sembrava essere un’ottima soluzione, smetteva di funzionare con gli interpreti in carne e ossa.
In questo risiede la difficoltà maggiore del mestiere del teatro di cui vi stiamo raccontando. Le prove dello spettacolo vanno affrontate immergendosi fino alla testa nel Panta rei, nel “tutto scorre” del divenire scenico, avendo lo stesso atteggiamento di Napoleone che, a fronte di manuali di tattica e di strategia bellica, suggeriva di essere lì, di vedere che cosa accade sul campo di battaglia e di reagire di conseguenza, costruendo, secondo l’esigenza di mutamento dell’immediatezza, di volta in volta, le soluzioni più adatte.
Se questo articolo vi è piaciuto, vi invitiamo a leggere gli altri approfondimenti presenti tra le nostre rubriche, come quello dedicato alla figura del drammaturgo oppure quello sullo scenografo, entrambi ruoli importanti nella buona riuscita di uno spettacolo teatrale.